
Le ceramiche Marazzi prendono vita negli spazi di una villa di fantasia. All’interno e all’esterno, dalle pareti ai rivestimenti e ai complementi d’arredo, la designer britannica Charlotte Taylor immagina un’architettura in cui dimensioni e colori dei prodotti Marazzi contribuiscono a creare un’atmosfera calda e allo stesso tempo sospesa, che suggerisce la presenza umana senza svelarla.
Un racconto personale, dove Objects of Common Interest riflette sul giardino come spazio di libertà e connessione con la natura.
Da bambina, odiavo il giardino dei miei genitori. Vivevamo in un quartiere benestante di Salonicco, e tutte le ville intorno alla nostra avevano dei giardini decorativi con prato e cespugli potati con precisione geometrica. Mio padre, un ingegnere che non sopportava tutti quei cliché, era l’unico a curare personalmente il nostro giardino di 12mila metri quadri. La maggior parte delle piante veniva dal giardino di suo padre, che era cresciuto in una famiglia povera nel nord della Grecia ed era poi di- ventato un avvocato dei diritti umani. Così avevamo olivi, viti, cespugli di rose; e poi fichi, mandorli, ciliegi. Gli accostamenti tra gli alberi erano tutt’al- tro che rispondenti ai criteri che avrebbe seguito un designer di giardini o un paesaggista. Nella linda perfezione del resto del quartiere, il nostro giardino sembrava un angolo di campagna, e io me ne vergognavo. Mi ci è voluto molto tempo per rendermi conto che proprio la natura selvaggia di quel giardino mi ha concesso di essere libera, come per- sona e come pensatrice. A volte, quando non sei un architetto e vuoi progettare una casa, non fai altro che costruirla in un modo che ti rappresenta. In Grecia, questo tipo di architettura anonima si vede spesso nei paesi e sulle isole: si tratta di case straordinarie per quanto riguarda la luce e il legame con la natura. Hanno una radicale purezza, non sono vincolate ad alcuno stile.
Nel mezzo della casa in cui sono cresciuta, per esempio, i miei genitori avevano creato una serra con una copertura di vetro. Ricordo ancora che ogni mattina, quando andavo in bagno, vedevo la luce diretta del sole filtrare attraverso il verde e diffondersi per tutta la casa. C’erano quattro bagni, ognuno con delle piastrelle diverse. Nel bagno dei miei genitori erano bianche e nere; nel mio invece erano azzurre e ricoprivano il lavandino e il pavimento, mentre il resto era in legno. Adoro il modo in cui le piastrelle danno un senso di calore a ogni ambiente. Forse è per via della loro dimensione, o del loro carattere modulare, ma hanno qualcosa di perfetto: dovunque tu vada nel mondo, le piastrelle riescono a farti sentire subito a casa.
Oggi abitiamo a New York, e l’intera anatomia della città è una sorta di grande giardino. Si riesce a percepire come la città sia cresciuta organicamente, e come, nel tempo, sia stata occupata dalle persone in modo anarchico. In un certo senso lo spazio pubblico è un giardino artificiale, una traduzione della natura all’interno della città che permette uno scambio democratico. Un giardino che amo a New York è quello all’interno del Noguchi Museum: il modo in cui il lavoro di Noguchi dialoga con gli alberi e gli altri elementi naturali mi commuove. Il giardino è un riflesso della sua personalità, proprio come il giardino di mio padre lo era della sua. La maggior parte delle persone concentra tutta l’attenzione sull’interno delle proprie case e trascura il giardino, come se fosse solo un elemento di contorno. Invece andrebbero concepiti insieme, quasi creando uno storyboard: dove voglio svegliarmi la mattina? Dove voglio sedermi a bere il caffè? Quali sono i suoni che voglio sentire?
Alla fine è stato proprio nel giardino dei miei genitori che mi sono sposata con Leo, mio marito. Ho lottato con quel luogo per tutta la mia vita, e sposarmi lì è stata un’esperienza intensa, liberatoria.
Ricordo gli ospiti in abiti eleganti che percorrevano il piccolo sentiero che mio padre aveva costruito con blocchi di cemento. Abbiamo allestito i tavoli tra i filari di viti e gli olivi, e al livello più basso del giardino abbiamo costruito una piattaforma in compensato su cui ballare. Salire su quella pista da ballo dava la sensazione di essere persi in un bosco, anche se in realtà eravamo nel mezzo del- la città. Per me è stato un rito di passaggio.
Durante la pandemia, ci siamo trasferiti per sei mesi a casa dei miei genitori. Il mio primogenito aveva due anni e mezzo e mio padre gli ha insegna- to a fare pipì in giardino. Quando siamo tornati a New York, mio figlio ha preso l’abitudine di scappa- re via – poco importava che fossimo a Brooklyn o Manhattan – per andare a fare pipì su un albero. Oggi, quando lui e suo fratello dicono che vogliono andare in Grecia, so che quello che intendono è che vogliono andare nel giardino di mio padre. Adorano percorrere il sentiero segreto che germoglia una stagione dopo l’altra e profuma di timo e camomilla. E così l’amore per quel giardino passa da una generazione all’altra, regalando alla nostra famiglia la possibilità di coltivare un legame diretto con la natura.
Floors and steps: Mystone Travertino20 Navona
Pool: Crogiolo Lume Bone Swing
External Facades: Slow Pomice
Objects of Common Interest:
Fondato da Eleni Petaloti e Leonidas Trampoukis, Objects of Common Interest indaga l’intersezione tra arte, design e architettura. Con sedi ad Atene e New York, lo studio lavora su una vasta gamma di scale, da oggetti scultorei e installazioni ad ambienti immersivi e progetti di arte pubblica, guidato da un profondo fascino per la materialità, l’esplorazione concettuale e le esperienze spaziali tangibili. Gli Objects of Common Interest sono stati nominati Designer dell’Anno da Wallpaper*, nel 2022, e agli Elle Deco International Design Awards, nel 2024. Questo saggio è stato scritto da Eleni Petaloti.